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TRENTO. Le scorie del carcere di Evin non si lavano via così facilmente. «Dopo la prigionia sono più paranoica, fumo più sigarette, dormo meno. Per il resto la vita e il lavoro vanno avanti». Il lavoro di Cecilia Sala, 30 anni, è quello di giornalista. Racconta il mondo quotidianamente attraverso Stories, il podcast di Chora Media, e scrive per Il Foglio. È diventata suo malgrado famosa dopo la prigionia nel terribile carcere di Teheran: arrestata ufficialmente per «violazione delle leggi della Repubblica islamica». Ma la realtà dice altro: utilizzarla per uno scambio fra prigionieri.Nel suo nuovo libro “I figli dell’odio” (Mondadori) Cecilia Sala racconta anche della detenzione nel carcere iraniano. Racconta la radicalizzazione di Israele, la distruzione della Palestina, l’umiliazione dell’Iran. A Trento è stata accolta dall’affetto di tantissime persone giunte nella piazza di Piedicastello ad ascoltare la sua storia, la sua visione del mondo, in occasione dell’evento organizzato da Poplar festival.Cecilia, tutte queste persone qui per lei. Che effetto fa?«Il podcast è uno strumento particolarmente intimo rispetto alla distanza che si crea tra il giornalista e il lettore di un quotidiano. Tanti mi dicono che è come l’amico che ti racconta una storia all’orecchio. Ho un rapporto molto affettuoso con il mio pubblico. Ovviamente adesso sono più nota per una vicenda che non è merito mio, bensì colpa dei pasdaran iraniani».Quando ha scritto il libro?«Prima della detenzione. Poi mi sono presa una pausa, e l’ho finito prima dell’estate».Chi sono “I figli dell’odio”?«Tutte e tre le parti del libro – quelle su Israele, Palestina e Iran – cominciano con un giovane che accompagna il lettore attraverso la storia. I giovani aiutano a capire dove sta andando la società di un popolo, il loro futuro».In Israele come sono, questi giovani? «Più radicali e incattiviti, odiano molto di più i palestinesi di quanto non li odiassero i loro padri o nonni. I padri erano in grandissima maggioranza favorevoli alla soluzione a due stati, mentre ora il 70% dei giovani israeliani è contrario al diritto dei palestinesi di autodeterminarsi».I giovani palestinesi?«Sono più arrabbiati rispetto alla generazione precedente, che ha creduto alla possibilità della diplomazia. I giovani palestinesi sono cresciuti tra le macerie del fallimento degli accordi di Oslo, che non hanno portato ad uno stato palestinese come avrebbero dovuto».E quelli iraniani?«Sono figli dell’odio che è al potere: l’odio verso il proprio governo e la repubblica islamica».Il suo libro parte dal racconto di quanto ha visto a Hebron, in Cisgiordania.«Ho visto un gruppo di minorenni ebree alzare uno striscione che diceva: “Se tua moglie e i figli che ti ha dato non sono ebrei, cacciali di casa”. L’idea che ragazze di tredici anni possano essere preoccupate per i matrimoni misti mi ha colpito. Una scena che rappresenta bene la radicalizzazione di Israele».Lei racconta che i palestinesi sono cambiati.«A Jenin ero ospite di Firas, un ex combattente della prima Intifada. Quando vide Arafat stringere la mano al primo ministro israeliano Yitzhak Rabin ha cominciato a credere nella diplomazia, passando a suo figlio l’insegnamento. Il figlio non ha creduto ad una sola parola del padre, ha continuato a far parte dei gruppi armati palestinesi ed è morto a 19 anni, in un’imboscata tesa a una pattuglia israeliana».Come si è arrivati, nella società israeliana, ad una completa cancellazione collettiva dei palestinesi?«Una volta c’erano scambi tra i due popoli, mentre oggi i giovani israeliani non conoscono i palestinesi, perché sono cresciuti dopo l’innalzamento del muro e la chiusura dei cancelli. Li considerano dei mostri».Com’è la situazione politica in Iran, dopo gli attacchi di Usa e Israele? Quanto resisterà ancora la Repubblica Islamica?«Non credo che la sua caduta sia dietro l’angolo, i pasdaran si batteranno con le armi per non perdere il potere. Non basta la popolarità bassissima e il fatto che molti giovani siano contrari ad essa. La Repubblica è ad un bivio: fare un accordo con Trump o correre verso un’arma nucleare».In Russia Putin continua a mantenere il suo potere.«L’impunità nei suoi confronti ci è costata cara: una volta i governi consideravano più importante avere lo sconto sul gas. La reazione dell’opinione pubblica contro Putin c’è stata solo nel 2022, ma il suo obiettivo di conquistare l’Ucraina è sempre stato chiaro».Si può fermare Netanyahu?«L’unico che ha il potere per farlo, purtroppo per noi, è Trump. Netanyahu non può fare a meno delle sue bombe. Ma questo giorno non lo vedo vicino».
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Originale su L’Adige