(di Giorgio Gosetti) (ANSA) – ROMA, 17 AGO – Ci sono attori che modellano il proprio ruolo su se stessi e altri che, con il mimetismo del camaleonte, sanno calarsi in panni diversissimi, assumendo fogge, tic e persino una fisionomia lontanissima dalla propria. Sergio Castellitto, attore e regista tra i più popolari della sua generazione, festeggia il 18 agosto i suoi primi 70 anni, marcati da un’adolescenza brillante da autodidatta, una bellissima carriera cominciata da figurante nel 1981 con due film opposti (“Tre Fratelli” di Francesco Rosi e “Carcerato” di Alfonso Brescia) proprio mentre otteneva i primi successi a teatro con maestri quali Aldo Trionfo ed Enzo Muzii, un felice sodalizio artistico e sentimentale con Margaret Mazzantini, la soddisfazione del figlio Pietro oggi in concorso come regista alla Mostra di Venezia. Atletico, posato, istrionico, riflessivo, cangiante, coerente sono tutti aggettivi che gli si addicono a conferma di un percorso professionale in cui non si è mai accontentato del semplice successo per sorprendere ogni volta un pubblico più vasto. Se sul grande schermo ha restituito soprattutto se stesso con prove magistrali come il suo “Non ti muovere” (2004) premiato dal David di Donatello al miglior attore, in televisione si è abbandonato spesso al più virtuosistico trasformismo, dall’affilato profilo di Fausto Coppi al saio di Padre Pio, dal volto tormentato di “Drake” Ferrari alla tonaca di Don Milani, dalla seriosità compunta di Aldo Moro all’uniforme del Generale Dalla Chiesa. Tra grande e piccolo schermo iscrive oggi il suo nome in un centinaio di titoli, con grandi soddisfazioni anche lontano dall’Italia, dall’incursione americana de “Le cronache di Narnia” (2008) in cui vestiva i panni regali di Miraz alle ripetute presenze nel cinema francese d’autore. Qui a scoprirlo è Luc Besson con “Il grande blu” (1988), ma è Jacques Rivette a valorizzarlo fin da “Chi lo sa?” (2000) e poi “Questione di punti di vista” nove anni più tardi. (ANSA).