BRUXELLES. I suoi collaboratori raccontano che vada a correre ogni volta che può. A volte capita anche che sottoponga i malcapitati di turno a lunghe sessioni di “power walking” che si trasformano in vere e proprie riunioni di lavoro. E l’allenamento sembra esserle servito per completare una marcia inarrestabile ed essere incoronata ancora una volta regina d’Europa.Un cammino che Ursula von der Leyen ha intrapreso a febbraio come Spitzenkandidatin dei suoi Popolari costellato dal fuoco di nemici e presunti amici che, per l’underdog che ha Bruxelles nel suo dna, non si è rivelato meno complicato del battesimo di fuoco di un quinquennio attraversato da sfide delicate come la Brexit e crisi epocali come il Covid-19 e l’aggressione della Russia all’Ucraina. Cinque anni fa non era stata la prima scelta e lei, nelle cronache di chi la conosce, nemmeno se lo aspettava.Questa volta l’ex ministra della Difesa tedesca si è presa la scena fin dal primo istante puntando su un bis che intende onorare scommettendo ancora sul Green deal, sulla “unità nella diversità” degli europei, sulla convinzione che non saranno gli estremisti a sabotarne le fondamenta.Misurata, stacanovista, puntigliosa, la presidente che ha fatto la storia diventando la prima donna alla guida dell’esecutivo Ue – con il sostegno dall’alleata di lunga data Angela Merkel e di Emmanuel Macron – è considerata dai più una predestinata a guidare l’Europa. E lo si capisce già dalla sua carta d’identità: Ursula Gertrud Albrecht è tedesca ma è nata e cresciuta a Ixelles, uno dei quartieri più iconici di Bruxelles, nell’ottobre del 1958. Suo padre Ernst, grande sostenitore dell’integrazione comunitaria, è stato uno dei primi funzionari della Commissione che von der Leyen è tornata a prendersi dopo una vita passata tra Hannover e Berlino, parlando di un “ritorno a casa” e raccogliendo il testimone dal più esuberante Jean-Claude Juncker.Prima, l’ex medico madre di 7 figli che in patria ha spostato la causa della Cdu – il potente partito tedesco di centrodestra – aveva assunto il ruolo di ministro della Famiglia (sdoganando il congedo di paternità) e più tardi quello di guida della Bundeswehr tentando senza successo di modernizzarla e attirandosi più di una critica. Superate nel 2019 le forche dell’Eurocamera per soli nove voti (decisivo fu il M5s), dal tredicesimo piano di Palazzo Berlaymont – dove si è anche stabilita in un monolocale di 25 metri quadrati a mostrare la dedizione alla causa – von der Leyen ha gestito le schermaglie con Londra, i travagliati mesi del Covid, della campagna vaccinale – con le accuse sul Pfizergate ancora da sciogliere – e dell’abisso economico, la crudele invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin.Accusata dai suoi detrattori di essere una formidabile accentratrice e di andare ben oltre i suoi poteri, all’inizio di quest’anno la tedesca ha deciso di lanciare una campagna elettorale tutta sua ricordando a uno a uno i picchi e le voragini del suo lavoro. Ha cercato di cambiare volto e di mostrare il suo lato più umano, raggiungendo quasi tutti gli angoli del continente. Alla fine, nulla hanno potuto nemmeno i franchi tiratori: l’ex ministra, da ragazza amante del punk, ha vinto la sua scommessa stringendo un patto di ferro con le forze europeiste. A suggellare lo slogan lanciato a poche settimane dal voto: “Europe is our home”.