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Migranti, dieci anni fa 368 morti nel naufragio del 3 ottobre a Lampedusa. Da allora le vittime in mare sono state 28 mila – Cronaca


TRENTO. Una delle più gravi catastrofi marittime del Mediterraneo: il 3 ottobre 2013 a poche miglia dal porto di Lampedusa il naufragio di un barcone carico di migranti. I morti accertati sono 368 morti, una ventina i dispersi. Per non dimenticare quella tragedia è stata istituita la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione” alla quale – a dieci anni da quel giorno – oggi hanno contribuito molte realtà italiane.

A Lampedusa si sono svolte le cerimonie di commemorazione delle vittime alle quali hanno presenziato anche vari rappresentanti istituzionali, ma non sono giunti sull’isola esponenti del governo Meloni. Dopo quella tragedia, il governo Letta istituì il dispositivo di salvataggio Mare Nostrum, che rappresentò una breve fase di particolare impegno dello Stato italiano per intervenire contro il rischio di naufragi letali.

“Sono stati dieci anni difficili, non abbiamo dormito la notte e il giorno per far capire ai nostri politici che devono dialogare. Per l’indifferenza abbiamo perso circa 28mila persone. E ancora oggi chiediamo che venga dato nome e cognome alle vittime. Perché non applicano la direttiva 55? Per indifferenza? Qualunque autorità nazionale e internazionale venendo qua ha detto: mai più morti, invece siamo ancora qua”, ha detto a Lampedusa Tareke Bhrane, presidente del Comitato 3 ottobre, durante le commemorazioni per il decennale del naufragio.

“Lampedusa non può essere vista come se fosse l’Afghanistan, Lampedusa ha dato tutto. Voglio ringraziare i sopravvissuti e i familiari che vivono in Europa e che ogni anno tornano qua da cittadini europei – ha sottolineato Bhrane – e tutti hanno un passaporto europeo: chi è diventato norvegese, svedese, olandese. Se a una persona vanno dati gli strumenti può dare molto di più di quello che riceve. Queste persone sono vittime. Bisogna lavorare a monte, nei Paesi di origine e di transito”.

Nel frattempo, sull’isola continuano gli sbarchi e sul fronte politico dominano le polemiche fra il governo italiano e le Ong, o meglio, fra Roma e Berlino, con l’esecutivo tedesco di centrosinistra attaccato da quello italiano perché offre sostegno finanziario a una ong che fa salvataggi in mare. Dal governo italiano e dalla stessa premier Giorgia Meloni, anche dure critiche nei riguardi della sentenza del tribunale di Catania, che ha bocciato il nuovo decreto in cui l’esecutivo impone ai richiedenti asilo il pagamento di 5t mila euro di cauzione per evitare di essere rinchiusi in un cpr in attesa dell’esito della domanda.Giorgia Meloni affida ai social, anziché alle “fonti” anonime che tante critiche hanno sollevato a inizio estate, la sua irritazione davanti alla sentenza di Catania con cui la giudice Iolanda Apostolico non ha convalidato il trattenimento di tre tunisini ritenendo le nuove regole, appena varate dal governo, in contrasto con la normativa europea.

Secondo il tribunale, le nuove norme sulla detenzione per i richiedenti asilo per i giudici di Catania sono contrarie alle norme Ue e alla Costituzione italiana: è illegittimo chiedere ai migranti cinquemila euro di cauzione per evitare la reclusione; inoltre, non si può trattenere chi chiede protezione senza effettuare una valutazione su base individuale.

Ma di fronte alle parole della premier, “basita” per la sentenza dalle motivazioni “incredibili”, prima l’Anm e poi 10 togati del Csm si schierano a difesa della collega, finita nel mirino anche di tutto il centrodestra che vuole portare il caso in Parlamento.

Le opposizioni condannano l’ennesimo “scontro istituzionale”, oramai, secondo i Dem, “anticamera dell’eversione”. Accanto alla giudice si schiera fin da subito l’Associazione nazionale magistrati di Catania (cui si affianca anche l’Anm di Milano), che definisce Apostolico “persona perbene” e osserva che “il rapporto tra potere esecutivo e giudiziario andrebbe improntato a ben altre modalità”. Mentre la stessa giudice si chiama fuori dalle “polemiche” perché la questione è giuridica, e “impugnabile” e non deve essere trasformata in una “questione personale”.

Si tratta di una “grave delegittimazione professionale” fanno intanto quadrato i consiglieri del Csm che hanno avviato una raccolta di firme a tutela della giudice di Catania, che secondo la premier si è “scagliata” contro un provvedimento del governo “democraticamente eletto”.

Non si ferma lì, Meloni, che torna a puntare il dito contro quel “pezzo di Italia”, non meglio identificato, che “fa tutto il possibile per favorire l’immigrazione illegale. E non parlo solo della sinistra ideologizzata e del circuito che ha i propri ricchi interessi nell’accoglienza”. Senza contare gli “altri Stati” che “lavorano nella direzione diametralmente opposta” a quella del governo italiano, impegnato a fronteggiare gli sbarchi illegali. La premier, che finora non si era espressa sulla vicenda, scrive su tutti i suoi social di primo mattino.

“Meloni la smetta di alimentare lo scontro istituzionale che danneggia il Paese”, risponde a caldo Elly Schlein, additando il governo di cercare “un nemico al giorno per nascondere le proprie responsabilità”. E le sue parole, le fa eco il capogruppo al Senato Francesco Boccia, “fanno il paio con quelle di Salvini di ieri che dice interverremo sulla magistratura. Questo è l’anticamera dell’eversione”.

È “così, scagliandosi contro migranti e giudici, che Polonia e Ungheria si sono poste fuori dallo Stato di diritto”, incalzano anche da +Europa, mentre Giuseppe Conte sottolinea i “bluff” della premier che di fatto ha “fallito” sulle politiche migratorie.



Originale su L’Adige

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