TRENTO. Più di vent’anni di violenze psicologiche e fisiche di un padre «padrone» che ha reso la vita dell’ex moglie e delle quattro figlie un inferno. Cinghiate, urla, minacce anche con armi da taglio, sono soltanto alcuni degli elementi raccolti dalla Procura del capoluogo che hanno permesso di ricostruire quanto avveniva entro le mura domestiche, e non solo, per mano di un cittadino italiano 58enne, residente in Valsugana.
La giustizia ha presentato il suo conto: l’uomo, finito sul banco degli imputati e difeso dall’avvocato d’ufficio Marco Salvaterra, è stato condannato dal tribunale di Trento – in composizione collegiale con i giudici Miori, Rigon e Bonomi – a 5 anni e 3 mesi di reclusione per maltrattamenti contro famigliari. È stata inoltre liquidata una provvisionale, 40mila euro in totale, per le parti civili, rappresentate dall’avvocata Romina Targa: 15mila all’ex coniuge, 10mila alla figlia maggiore e 5mila a ciascuna delle altre tre, mentre il resto del risarcimento sarà stabilito in separata sede. Stando agli atti la vicenda ha avuto inizio nei primi anni del Duemila nella Regione di origine della coppia per poi protrarsi ininterrottamente per più di due decenni anche dopo che marito e moglie si sono trasferiti in Trentino con la loro prima figlia.
Secondo le testimonianze, l’uomo avrebbe preteso per anni di essere «servito», tenendo la moglie e le quattro bimbe sotto pressione con la costante minaccia di far loro del male o addirittura di ucciderle. Ma la cosa, purtroppo, sarebbe andata ben oltre le parole. I maltrattamenti nei confronti della convivente sarebbero avvenuti sempre sotto gli occhi delle bimbe, ancora minorenni.Anche loro erano sottoposte alle azioni violente e umilianti del padre che le avrebbe colpite in più occasioni con una cintura se non «obbedivano» ai suoi ordini. Tra il 2012 e il 2013 avrebbe minacciato una delle piccole che se avesse chiamato la polizia le avrebbe fatto seriamente del male.Secondo l’impianto accusatorio, schiaffi e pugni verso la moglie erano spesso accompagnati dal lancio di oggetti, fra cui tavoli e piatti, arrivando a spaccare la porta della stanza dove si era rifugiata per proteggersi. In aggiunta, nel 2021, lui si sarebbe fatto aiutare da un nipote per installare un’app sul cellulare della moglie al fine di controllare tutte le sue chat e le sue chiamate.
Così dopo lunghi anni di vessazioni, lei aveva posto fine alla relazione. Ma nonostante ciò, anche in fase di separazione, l’uomo avrebbe continuato a perseguitarla senza lasciarle tregua, arrivando a pedinarla nei luoghi da lei frequentati e urlandole contro. È a questo punto che lei è riuscita a denunciare il suo aggressore, raccontando quanto lei e le sue figlie avevano vissuto per oltre vent’anni. Una situazione che ormai stava diventando di giorno in giorno sempre più insostenibile.
Il caso è quindi arrivato sul tavolo della Procura di Trento che ha aperto un fascicolo per maltrattamenti. Dopo essere stato rinviato a giudizio, l’imputato è stato chiamato a rispondere davanti ai giudici in sede dibattimentale, dove il pm aveva chiesto per lui una pena di 7 anni e 6 mesi. Ora si è chiuso un capitolo, con la sentenza in primo grado.